Two Days Left
13 venerdì Gen 2017
Posted Hype, I Am Sherlocked, serie tv, UK
in13 venerdì Gen 2017
Posted Hype, I Am Sherlocked, serie tv, UK
in11 domenica Dic 2016
Posted Hype, I Am Sherlocked, serie tv, UK
inTag
Amanda Abbington, BBC, Benedict Cumberbatch, Louise Brealey, Mark Gatiss, Martin Freeman, Sherlock, Steven Moffat
Is this the End of the Game for our beloved Sherlock? We’ll see at the beginning of 2017…
MEGA-HYPE!!!
10 venerdì Lug 2015
Posted Hype, London Calling, preview, serie tv, UK
in10 giovedì Apr 2014
Tag
Benedict Cumberbatch, Darren Aronofsky, Grand Budapest Hotel, Lars von Trier, Lo Hobbit: La Desolazione di Smaug, Martin Freeman, Nexo Digital, Noah, Nymphomaniac, Space Battleship Yamato, Weltall, Wes Anderson
Nel nuovo numero di CINE20 trovate la recensione del mio fedele socio Weltall del deludente Nymphomaniac Vol. 1 di Lars von Trier. E sempre sue sono le news della settimana (si, stavolta me la son presa comoda, lo ammetto) , tra cui spicca Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, sempre che siate amanti del cinema di Wes Anderson come lui, ma NON come me, altrimenti potrebbe interessarvi il catastrofico-biblico-visionario Noah di Darren Aronofsky: a me manco quello. Quelli della Nexo Digital invece ci portano in sala la corazzata Yamato con il live-action Space Battleship Yamato, in sala solo il 15 e il 16 Aprile.
Nel mercato home-video invece arriva il secondo capitolo dello Hobbit, ovvero Lo Hobbit – La Desolazione di Smaug, così finalmente potremo gustarci (gia’ fatto, grazie) la voce originale di Smaug, ovvero Benedict Cumberbatch, in tutto il suo splendore, cercando di non pensare troppo a Sherlock quando sono in scena lui e John Watson Martin Freeman.
E come sempre, trovate tutto a portata di CLICK!
23 giovedì Gen 2014
Posted Cult, I Am Sherlocked, reviews, serie tv, UK
inTag
Amanda Abbington, BBC ONE, Benedict Cumberbatch, His Last Vow, John Watson, Martin Freeman, Mary Morstan, Sherlock, Sherlock Holmes, Steven Moffat, The Sign of Three
Human Error
Il problema con His Last Vow e’ il debito che ha con i due precedenti episodi (che a me hanno convinto molto piu’ di questo), visto che la terza stagione, molto piu’ che le altre due, e’ sviluppata ad arco narrativo, con indizi disseminati nel corso delle precedenti storie. Sulla qualita’ del prodotto non si discute, e non si e’ mai discusso, perche’ Sherlock a livello qualitativo (recitazione, fotografia, messa in scena e montaggio) batte molte pellicole cinematografiche a mani basse, quindi la discussione si sposta semmai sulla credibilita’ delle scelte, e dello sviluppo della storia, e dei personaggi.
Durante The Sign of Three c’e’ la promessa solenne di Sherlock di proteggere la coppia John e Mary , nascituro compreso, a qualsiasi costo: quindi per continuità con gli altri e per soddisfare le aspettative del pubblico Sherlock nel terzo episodio DEVE per forza fare qualcosa di eclatante, di clamoroso, e deve mettere a rischio la propria incolumita’ per amore (chiamatelo come volete) di John.
Quindi, ecco il primo vicolo cieco in cui si sono andati a cacciare gli scrittori della serie: abbiamo bisogno di una soluzione altamente drammatica, altrimenti poi siamo incoerenti con la promessa fatta, quindi Sherlock DEVE per foza commettere qualche errore e quindi ritrovarsi con le spalle al muro, se DEVE ricorrere ad un gesto cosi’ disperato. E qui di errori Sherlock ne commette una bella fila, pure troppi per esser credibile, anche per una persona coinvolita emotivamente. Anche con The Woman, pur avendo sbagliato perche’ si era fatto “distrarre”, alla fine salva capra e cavoli grazie alla sua freddezza, ma li’ non era obbligato dallo sviluppo del racconto a gesti clamorosi. E comunque anche allora Moffat (che aveva scritto l’episodio) aveva sentito il bisogno di aggiungere un inutile appendice alla storia, quella del salvataggio di Irene da parte di Sherlock, sempre per il suo desiderio di strafare.
Ma poi, esattamente, cosa deve dimostrare ancora Sherlock a John? Si e’ gia’ buttato da un palazzo (ok, ha finto di buttarsi da un palazzo, ma questo John non lo sapeva) per salvare la pelle a John, Molly e Greg, quindi non credo che debba dimostrare ancora qualcosa, almeno per me, poi e’ una questione di opinioni. E poi comunque il sacrifico compiuto nel finale di His Last Vow e’ una ripetizione dello stesso tipo di gesto, solo piu’ teatrale, piu’ eclatante, e a alla luce del giorno: solo che stavolta John non conosce fino in fondo il prezzo che Sherlock pagherà. (o pagherebbe)
Poi c’e’ il secondo vicolo cieco, ovvero la situazione Mary: era ovvio che Mary nascondesse qualcosa, era ovvio che fosse una LIAR, e che non fosse un infermiera qualsiasi, come era ovvio che fosse implicata con Magnussen (CAM nei telegrammi durante il matrimonio) e nascondesse un orribile segreto. Poi però per strafare, gli autori nel secondo episodio si sono inventati il bebe’ a complicare il tutto ( per non parlare della “leggera” deviazione dal canone di Conan Doyle), e quindi lei deve per forza restare nella serie, perche’ non possiamo eliminare una donna incinta (neanche Whedon sarebbe capace di tanto), e quindi occorre fare i salti mortali per tenerla in gioco, senza però rinunciare a qualche grande colpo di scena: anche far si’ che Sherlock la perdoni dopo che lei gli ha sparato in pieno petto, inventandosi che l'”ha salvato”.
E DEVE sparargli in pieno petto, altrimenti come facciamo a fare la meravigliosa scena del Mind Palace, per dimostrare quanto siamo bravi a fare la scena del Mind Palace? A me personalmente era piaciuto un sacco il Mind Palace di The Sign of Three, quindi lo sappiamo gia’ che siete bravi, state sottolineando l’ovvio con l’inutile. Ma poi alla scena dopo ci rimangiamo tutto, Sherlock non si e’ salvato grazie al Mind Palace, e per l’amore (chiamatelo come volete) che prova per John, ma perche’ Mary “l’ha salvato” con un colpo chirurgico. Perche’ Sherlock DEVE fare il nobile gesto di perdonarla, sempre per amore di John, cosi’ poi puo’ perdonarla anche lui. E la questione non viene neanche posta, perchè l’unica discussione tra John e Mary è sul passato di lei, non su quello che lei ha fatto al suo migliore amico.
Sento distintamente il rumore delle unghie lasciate sugli specchi da Moffat & C. (ma principalmente Moffat, che tende un po’ a strafare) nel tentativo di spiegare l’inspiegabile perche’ hanno deciso che la storia DEVE andare cosi’.
In sintesi, a mio avviso, quando si forza il racconto a quel che si vuol fare accadere, e il tutto risulta troppo meccanico, significa che c’e’ qualcosa che non va. Ovviamente e’ un parere personale, anche se mai nessuna stagione o episodio di Sherlock ha sollevato tante critiche o perplessita’, soprattutto sulla credibilità dell’intreccio e sui buchi di sceneggiatura, quindi qualcosa vorra’ pur dire.
Come ulteriore esempio consideriamo la conclusione dell’episodio: sia nella prima che nella seconda stagione, la soluzione finale è stata molto piu’ elegante e ragionata, infatti nella prima c’é un vero cliffhanger, di quelli con le palle, fatto senza alcuna paura di perdere spettatori, anzi, mentre nella seconda c’é una chiusura convincente ed il cliffhanger c’è ma riguarda solo la spiegazione del “come”. Ma in entrambi i casi non ci sono colpi di scena o cliffhanger che “risolvono” un grosso problema narrativo dell’episodio, come in questo caso, ovvero quello di far restare in scena Sherlock: un colpo di scena che lancia sì la prossima stagione, ma che allo stesso tempo cancella in un attimo la drammaticita’ del finale, senza che allo spettatore sia lasciata la possibilita’ di digerire quello che ha visto trenta secondi prima.
L’altro problema dell’episodio, e della stagione nel suo complesso, e’ il modo in cui viene trattato il rapporto tra Sherlock e John: gli autori non possono continuare ad essere, per usare un eufemismo, ondivaghi, riguardo ai sentimenti che li legano, o per lo meno quelli che legano Sherlock a John, continuando a parlare di amicizia quando continuano a lanciare deliberatamene segnali nemmeno troppo velati che c’è qualcosa di più. Dal mio punto di vista quello che fa Sherlock per John nel secondo e nel terzo episodio e’ una sorta di espiazione per il fatto di averlo “tradito” andandosene per due anni senza dirgli nulla. E la sua totale e completa abnegazione nei confronti della felicita’ di John, anche a costo di perdonare il fatto di aver subito una ferita praticamente letale da parte di Mary, anche a costo di rinunciare alla propria liberta’ e alla propria vita uccidendo Magnussen davanti a testimoni, e’ sintomo di qualcosa di molto di piu’ di una “semplice” amicizia (almeno nel mondo reale) perche’, citando Beauty and The Beast, solo chi ama veramente lascia libera una persona, anche a costo di perderla per sempre. E quando Sherlock compie la scelta estrema di uccidere Magnussen sa che il suo destino è segnato.
A riprova ulteriore della profondita’ del sentimenti che prova Sherlock, ma soprattutto dei messaggi ambigui che mandano gli autori, c’e’ la scena finale dell’addio all’aeroporto, che ricorda quella di Casablanca, e in maniera anche abbastanza smaccata.
In tutto questo, Sherlock ne esce abbastanza bastonato, ancora piu’ che in The Sign of Three, con un John Watson che non sembra capire fino in fondo la profondita’ dei sentimenti dell’altro, malgrado la faccenda del best man e del migliore amico, visto che non sembra dare sostanza, almeno a parole, alla riconoscenza per quello che Sherlock ha fatto per lui e per la moglie. Si puo’ obiettare forse che Watson esprime i propri sentimenti più con gli sguardi che con le parole, e che l’addio finale è dominato dai silenzi di entrambi, ma a me personalmente sarebbe piaciuto sentirglielo dire.
12 domenica Gen 2014
Posted Cult, I Am Sherlocked, reviews, serie tv, UK
inTag
Amanda Abbington, BBC ONE, Benedict Cumberbatch, Louise Brealey, Mark Gatiss, Martin Freeman, Rupert Graves, Sherlock, Steven Moffat
Enjoy not getting involved, Sherlock
Parliamo di quello di cui NON si parla nell’episodio The Sign of Three, parliamo dell’Elefante nella Stanza. Parliamo della profonda inadeguatezza di Sherlock a vivere tra gli esseri umani, non per scelta, ma perchè è la sua natura. I know what it means looking sad when you think no one can see you, ricordate? E parliamo di tutto un episodio a raccontarci e raccontarsi che in fondo anche lui può esser recuperato, che anche lui può fare la sua brava stag night, ubriacarsi persino, ed esser in grado di intrattenere gli ospiti al matrimonio del suo migliore amico. I don’t have “friends”, I’ve just got one. Certo, da qualche parte, in fondo, in una parte di noi inconfessabile, siamo tutti più contenti, come spettatori e come esseri umani, quando il genio si dimostra anche un po’ un mostro, perchè in fondo troviamo consolazione nel fatto che anche lui qualche difetto ce l’ha, che non è perfetto come sembra. E’ ciò che spinge Donovan e Anderson a fare quello che fanno in The Reichenbach Fall, è il sentimento estremamente umano su cui fa leva il diabolico Moriarty per isolare e sconfiggere il suo arcinemico. Certo, finchè si comporta in maniera inadeguata possiamo ridere di lui, della sua profonda incapacità di comprendere la natura umana quando si parla di sentimenti. Human? Mmmmhhh… No. Nature? Mmmhhh…No.
Tutto diventa più difficile quando arriva qualcuno che apre il guscio, che trova la chiave, che risolve il rebus delle emozioni, e quelle come da un vaso di pandora che si schiude escono, e una volta uscite, non c’è più modo di farle rientrare. Perchè questo rappresenta Watson per Sherlock, quella persona che malgrado lui sia consapevole di essere the most unpleasant, rude, ignorant and all-round obnoxious arsehole that anyone could possibly have the misfortune to meet, lo sceglie come migliore amico e come testimone di nozze. E nel momento in cui quel qualcuno gli viene tolto, dalla vita, dalle circostanze, da un destino crudele e beffardo, c’è proprio ben poco da ridere, e tutti noi vorremo aiutarlo, e quella sua inadeguatezza non è più affatto divertente: I wish you weren’t… whatever it is you are. I know.
Altro che episodio comico, o caduta di stile. The Sign of Three è l’episodio più triste ed umano di tutta la (breve) vita della serie, e poco importa se a qualcuno mancano “i casi”, che poi peraltro qui (a differenza di The Empty Hearse) ci sono, e gestiti anche alla grande come al solito. Se volete un procedurale, con un caso per episodio, ce ne sono a montagne in giro e di fatti anche bene, senza bisogno di disturbare Gatiss, Moffat, Cumberbatch, Freeman e la loro (splendida) creatura, che con la sua precisione nella scrittura, il suo interesse per le umane debolezze, e la sua messa in scena curata e raffinata in ogni dettaglio, è sempre stata altro: solo che magari non lo sapevamo, o ce ne rendevamo conto ad un livello subliminale, e non chiaro come lo è in questo episodio.
E ora, stasera, prepariamoci a soffrire. E tanto. Di quanti cosiddetti “procedurali” potreste dire lo stesso?
05 domenica Gen 2014
Posted Cult, I Am Sherlocked, serie tv, UK
inTag
Amanda Abbington, BBC, BBC ONE, Benedict Cumberbatch, John Watson, Mark Gatiss, Martin Freeman, Mycroft, Sherlock, Sherlock Holmes, The Empty Hearse
Time to go and be Sherlock Holmes
Due anni sono passati, nelle vite di Sherlock e Watson, nelle nostre, e in quelle di Benedict Cumberbatch e di Martin Freeman. Era quindi inevitabile che l’episodio di apertura della terza stagione dovesse fare i conti con il livello altissimo di attesa da parte dei fan della serie, e con il percorso di evoluzione sia dei personaggi che degli attori che li interpretano. Perchè ora Cumberbatch e Freeman, nell’immaginario dei fan che hanno seguito fedelmente gli attori nelle loro esperienze sia teatrali che cinematografiche non sono più SOLO Sherlock e Watson, che quindi diventano maschere che i due indossano all’occasione. Non è perciò certo un caso se nell’eccezionale sequenza d’apertura appare una maschera del volto di Sherlock (ormai vera e propria icona contemporanea) , così come non è casuale la reiterata gag sui baffi di John, e sulla necessità di Freeman di liberarsene per entrare nel personaggio, o il travestimento di Sherlock nel primo “appuntamento” con il compagno di un tempo. Sono tutti passi che conducono alla conclusione dell’episodio, in cui Watson/Freeman in un dialogo rivelatore chiede a Holmes/Cumberbatch (a questo punto la differenza non ha più alcuna importanza) se non gli è mancato il ruolo del detective più famoso del mondo.
Poi c’è il vero colpo di genio dell’episodio, quello di dar spazio nel racconto alla miriade di teorie dei fan sulla morte simulata nel finale della scorsa stagione, usando l’espediente narrativo delle teorie di Anderson e dei membri del club dai lui fondato, The Empty Hearse, a cui va peraltro l’onore di dare il titolo all’episodio, ovviamente ispirato a The Empty House, il racconto di Conan Doyle che segnava il ritorno letterario del personaggio di Holmes. Un Anderson sorprendentemente convertito post-mortem al credo di Sherlock, al punto che Mark Gatiss, magnifico autore dell’episodio, arriva persino a mettergli in bocca quel “I believe in Sherlock Holmes” che è una sorta di mantra tra i fan della serie; un Anderson talmente convinto dell’eccezionalità del detective da non credere alla semplicità della spiegazione “vera” (?!?!?) fornitagli dallo stesso Holmes nel corso di un intervista.
In mezzo a tutto questo, come fosse quasi trascurabile, c’è la trama vera e propria dell’episodio con un “complotto delle polveri” che richiama dichiaratamente Guy Fawkes e il 5th of November, con tanto di sequenza all’interno di un vagone della metro carico di esplosivo che cita apertamente il V for Vendetta dei Wachowski, e, accennata ma incisiva, la presentazione di Mary Morstan (interpretata da Amanda Abbington, compagna di Freeman nella vita reale), futura sposa di Watson, che al primo incontro con Sherlock ha la stessa (sospetta) reazione di John, quel I Like Him pronunciato all’interno di un taxi che richiama molto da vicino il famoso Amazing di A Study in Pink.
Poi ovviamente ci sono loro, John e Sherlock personaggi, e la loro attesa riconciliazione, che Gatiss e Moffat hanno deciso di buttare sullo scherzo divertito, un tono che se poteva andar bene per il primo appuntamento, tutto sopra le righe dalla messa in scena alle musiche alla recitazione (ovviamente perfetta) dei due protagonisti, stona un po’ nella conclusione dell’episodio. Un atteggiamento, quello di Holmes, d’altronde comprensibile perchè si sa che Sherlock senza l’influenza positiva ed “umana” di John tende senz’altro a “regredire”, ma non certo al punto di non conoscere il valore e l’importanza dell’amicizia, a differenza di suo fratello Mycroft, come sottolineato durante un superbo dialogo tra i due, in cui Gatiss e Cumberbatch gareggiano in bravura, e in cui per la prima volta abbiamo un assaggio del passato degli Holmes.
NB: Seguirà a breve un post con uno spropositato numero di immagini di Cumberbatch per la gioia di mia moglie Ashura ... intanto un piccolo assaggio:
01 mercoledì Gen 2014
Posted Hype, I Am Sherlocked, serie tv, UK
in08 domenica Dic 2013
Posted Eventi, Hype, I Am Sherlocked, serie tv, UK
inTag
BBC ONE, Benedict Cumberbatch, John Watson, Mark Gatiss, Martin Freeman, Sherlock 3, Sherlock Holmes, SherlockLives
-He’s got on with his life! –
– What Life? –
NOW we really can’t wait ‘til the first January 2014, can we???
Here’s the direct link to the interactive trailer!!!
30 sabato Nov 2013
Posted Cult, Hype, I Am Sherlocked, serie tv, UK
in