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Amanda Abbington, BBC ONE, Benedict Cumberbatch, His Last Vow, John Watson, Martin Freeman, Mary Morstan, Sherlock, Sherlock Holmes, Steven Moffat, The Sign of Three
Human Error
Il problema con His Last Vow e’ il debito che ha con i due precedenti episodi (che a me hanno convinto molto piu’ di questo), visto che la terza stagione, molto piu’ che le altre due, e’ sviluppata ad arco narrativo, con indizi disseminati nel corso delle precedenti storie. Sulla qualita’ del prodotto non si discute, e non si e’ mai discusso, perche’ Sherlock a livello qualitativo (recitazione, fotografia, messa in scena e montaggio) batte molte pellicole cinematografiche a mani basse, quindi la discussione si sposta semmai sulla credibilita’ delle scelte, e dello sviluppo della storia, e dei personaggi.
Durante The Sign of Three c’e’ la promessa solenne di Sherlock di proteggere la coppia John e Mary , nascituro compreso, a qualsiasi costo: quindi per continuità con gli altri e per soddisfare le aspettative del pubblico Sherlock nel terzo episodio DEVE per forza fare qualcosa di eclatante, di clamoroso, e deve mettere a rischio la propria incolumita’ per amore (chiamatelo come volete) di John.
Quindi, ecco il primo vicolo cieco in cui si sono andati a cacciare gli scrittori della serie: abbiamo bisogno di una soluzione altamente drammatica, altrimenti poi siamo incoerenti con la promessa fatta, quindi Sherlock DEVE per foza commettere qualche errore e quindi ritrovarsi con le spalle al muro, se DEVE ricorrere ad un gesto cosi’ disperato. E qui di errori Sherlock ne commette una bella fila, pure troppi per esser credibile, anche per una persona coinvolita emotivamente. Anche con The Woman, pur avendo sbagliato perche’ si era fatto “distrarre”, alla fine salva capra e cavoli grazie alla sua freddezza, ma li’ non era obbligato dallo sviluppo del racconto a gesti clamorosi. E comunque anche allora Moffat (che aveva scritto l’episodio) aveva sentito il bisogno di aggiungere un inutile appendice alla storia, quella del salvataggio di Irene da parte di Sherlock, sempre per il suo desiderio di strafare.
Ma poi, esattamente, cosa deve dimostrare ancora Sherlock a John? Si e’ gia’ buttato da un palazzo (ok, ha finto di buttarsi da un palazzo, ma questo John non lo sapeva) per salvare la pelle a John, Molly e Greg, quindi non credo che debba dimostrare ancora qualcosa, almeno per me, poi e’ una questione di opinioni. E poi comunque il sacrifico compiuto nel finale di His Last Vow e’ una ripetizione dello stesso tipo di gesto, solo piu’ teatrale, piu’ eclatante, e a alla luce del giorno: solo che stavolta John non conosce fino in fondo il prezzo che Sherlock pagherà. (o pagherebbe)
Poi c’e’ il secondo vicolo cieco, ovvero la situazione Mary: era ovvio che Mary nascondesse qualcosa, era ovvio che fosse una LIAR, e che non fosse un infermiera qualsiasi, come era ovvio che fosse implicata con Magnussen (CAM nei telegrammi durante il matrimonio) e nascondesse un orribile segreto. Poi però per strafare, gli autori nel secondo episodio si sono inventati il bebe’ a complicare il tutto ( per non parlare della “leggera” deviazione dal canone di Conan Doyle), e quindi lei deve per forza restare nella serie, perche’ non possiamo eliminare una donna incinta (neanche Whedon sarebbe capace di tanto), e quindi occorre fare i salti mortali per tenerla in gioco, senza però rinunciare a qualche grande colpo di scena: anche far si’ che Sherlock la perdoni dopo che lei gli ha sparato in pieno petto, inventandosi che l'”ha salvato”.
E DEVE sparargli in pieno petto, altrimenti come facciamo a fare la meravigliosa scena del Mind Palace, per dimostrare quanto siamo bravi a fare la scena del Mind Palace? A me personalmente era piaciuto un sacco il Mind Palace di The Sign of Three, quindi lo sappiamo gia’ che siete bravi, state sottolineando l’ovvio con l’inutile. Ma poi alla scena dopo ci rimangiamo tutto, Sherlock non si e’ salvato grazie al Mind Palace, e per l’amore (chiamatelo come volete) che prova per John, ma perche’ Mary “l’ha salvato” con un colpo chirurgico. Perche’ Sherlock DEVE fare il nobile gesto di perdonarla, sempre per amore di John, cosi’ poi puo’ perdonarla anche lui. E la questione non viene neanche posta, perchè l’unica discussione tra John e Mary è sul passato di lei, non su quello che lei ha fatto al suo migliore amico.
Sento distintamente il rumore delle unghie lasciate sugli specchi da Moffat & C. (ma principalmente Moffat, che tende un po’ a strafare) nel tentativo di spiegare l’inspiegabile perche’ hanno deciso che la storia DEVE andare cosi’.
In sintesi, a mio avviso, quando si forza il racconto a quel che si vuol fare accadere, e il tutto risulta troppo meccanico, significa che c’e’ qualcosa che non va. Ovviamente e’ un parere personale, anche se mai nessuna stagione o episodio di Sherlock ha sollevato tante critiche o perplessita’, soprattutto sulla credibilità dell’intreccio e sui buchi di sceneggiatura, quindi qualcosa vorra’ pur dire.
Come ulteriore esempio consideriamo la conclusione dell’episodio: sia nella prima che nella seconda stagione, la soluzione finale è stata molto piu’ elegante e ragionata, infatti nella prima c’é un vero cliffhanger, di quelli con le palle, fatto senza alcuna paura di perdere spettatori, anzi, mentre nella seconda c’é una chiusura convincente ed il cliffhanger c’è ma riguarda solo la spiegazione del “come”. Ma in entrambi i casi non ci sono colpi di scena o cliffhanger che “risolvono” un grosso problema narrativo dell’episodio, come in questo caso, ovvero quello di far restare in scena Sherlock: un colpo di scena che lancia sì la prossima stagione, ma che allo stesso tempo cancella in un attimo la drammaticita’ del finale, senza che allo spettatore sia lasciata la possibilita’ di digerire quello che ha visto trenta secondi prima.
L’altro problema dell’episodio, e della stagione nel suo complesso, e’ il modo in cui viene trattato il rapporto tra Sherlock e John: gli autori non possono continuare ad essere, per usare un eufemismo, ondivaghi, riguardo ai sentimenti che li legano, o per lo meno quelli che legano Sherlock a John, continuando a parlare di amicizia quando continuano a lanciare deliberatamene segnali nemmeno troppo velati che c’è qualcosa di più. Dal mio punto di vista quello che fa Sherlock per John nel secondo e nel terzo episodio e’ una sorta di espiazione per il fatto di averlo “tradito” andandosene per due anni senza dirgli nulla. E la sua totale e completa abnegazione nei confronti della felicita’ di John, anche a costo di perdonare il fatto di aver subito una ferita praticamente letale da parte di Mary, anche a costo di rinunciare alla propria liberta’ e alla propria vita uccidendo Magnussen davanti a testimoni, e’ sintomo di qualcosa di molto di piu’ di una “semplice” amicizia (almeno nel mondo reale) perche’, citando Beauty and The Beast, solo chi ama veramente lascia libera una persona, anche a costo di perderla per sempre. E quando Sherlock compie la scelta estrema di uccidere Magnussen sa che il suo destino è segnato.
A riprova ulteriore della profondita’ del sentimenti che prova Sherlock, ma soprattutto dei messaggi ambigui che mandano gli autori, c’e’ la scena finale dell’addio all’aeroporto, che ricorda quella di Casablanca, e in maniera anche abbastanza smaccata.
In tutto questo, Sherlock ne esce abbastanza bastonato, ancora piu’ che in The Sign of Three, con un John Watson che non sembra capire fino in fondo la profondita’ dei sentimenti dell’altro, malgrado la faccenda del best man e del migliore amico, visto che non sembra dare sostanza, almeno a parole, alla riconoscenza per quello che Sherlock ha fatto per lui e per la moglie. Si puo’ obiettare forse che Watson esprime i propri sentimenti più con gli sguardi che con le parole, e che l’addio finale è dominato dai silenzi di entrambi, ma a me personalmente sarebbe piaciuto sentirglielo dire.