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Amanda Abbington, BBC ONE, Benedict Cumberbatch, Louise Brealey, Mark Gatiss, Martin Freeman, Rupert Graves, Sherlock, Steven Moffat
Enjoy not getting involved, Sherlock
Parliamo di quello di cui NON si parla nell’episodio The Sign of Three, parliamo dell’Elefante nella Stanza. Parliamo della profonda inadeguatezza di Sherlock a vivere tra gli esseri umani, non per scelta, ma perchè è la sua natura. I know what it means looking sad when you think no one can see you, ricordate? E parliamo di tutto un episodio a raccontarci e raccontarsi che in fondo anche lui può esser recuperato, che anche lui può fare la sua brava stag night, ubriacarsi persino, ed esser in grado di intrattenere gli ospiti al matrimonio del suo migliore amico. I don’t have “friends”, I’ve just got one. Certo, da qualche parte, in fondo, in una parte di noi inconfessabile, siamo tutti più contenti, come spettatori e come esseri umani, quando il genio si dimostra anche un po’ un mostro, perchè in fondo troviamo consolazione nel fatto che anche lui qualche difetto ce l’ha, che non è perfetto come sembra. E’ ciò che spinge Donovan e Anderson a fare quello che fanno in The Reichenbach Fall, è il sentimento estremamente umano su cui fa leva il diabolico Moriarty per isolare e sconfiggere il suo arcinemico. Certo, finchè si comporta in maniera inadeguata possiamo ridere di lui, della sua profonda incapacità di comprendere la natura umana quando si parla di sentimenti. Human? Mmmmhhh… No. Nature? Mmmhhh…No.
Tutto diventa più difficile quando arriva qualcuno che apre il guscio, che trova la chiave, che risolve il rebus delle emozioni, e quelle come da un vaso di pandora che si schiude escono, e una volta uscite, non c’è più modo di farle rientrare. Perchè questo rappresenta Watson per Sherlock, quella persona che malgrado lui sia consapevole di essere the most unpleasant, rude, ignorant and all-round obnoxious arsehole that anyone could possibly have the misfortune to meet, lo sceglie come migliore amico e come testimone di nozze. E nel momento in cui quel qualcuno gli viene tolto, dalla vita, dalle circostanze, da un destino crudele e beffardo, c’è proprio ben poco da ridere, e tutti noi vorremo aiutarlo, e quella sua inadeguatezza non è più affatto divertente: I wish you weren’t… whatever it is you are. I know.
Altro che episodio comico, o caduta di stile. The Sign of Three è l’episodio più triste ed umano di tutta la (breve) vita della serie, e poco importa se a qualcuno mancano “i casi”, che poi peraltro qui (a differenza di The Empty Hearse) ci sono, e gestiti anche alla grande come al solito. Se volete un procedurale, con un caso per episodio, ce ne sono a montagne in giro e di fatti anche bene, senza bisogno di disturbare Gatiss, Moffat, Cumberbatch, Freeman e la loro (splendida) creatura, che con la sua precisione nella scrittura, il suo interesse per le umane debolezze, e la sua messa in scena curata e raffinata in ogni dettaglio, è sempre stata altro: solo che magari non lo sapevamo, o ce ne rendevamo conto ad un livello subliminale, e non chiaro come lo è in questo episodio.
E ora, stasera, prepariamoci a soffrire. E tanto. Di quanti cosiddetti “procedurali” potreste dire lo stesso?
meno male che ci siete voi! Veri Sherlockiani che riescono ancora a guardare oltre l’apparenza…grande recensione!!! 🙂