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“The name is Sherlock Holmes, and the address is 221b Baker Street

Attualizzare un mito e’ sempre difficile, a maggior ragione quando si tratta di un icona dell’immaginario collettivo come quella di Sherlock Holmes, per di piu’  se  e’  di origine   anglosassone come in questo caso, perche’  si sa quanto gli inglesi  siano suscettibil nei confronti di chi osa toccare  senza il dovuto rispetto e la necessaria preparazione quelle che loro considerano vere e proprie istituzioni.

Ed e’ proprio per questo che con Sherlock,  serie televisiva trasmessa nell’inverno del 2010 dalla BBC,   in onda da stasera alle 21.10  su Italia 1, i due autori  Steven Moffat e Mark Gatiss possono dichiararsi ampiamente soddisfatti (e noi spettatori con loro) per aver brillantemente superato l’ardua  sfida di ambientare  ai nostri tempi  le avventure del detective creato alla fine dell’Ottocento da Sir Arthur Conan Doyle, restando  contemporaneamente fedeli allo spirito del personaggio, all’atmosfera delle storie  nonche’ alla pagina scritta.

Infatti, con al suo attivo solo tre episodi di 90 minuti,  ci troviamo di fronte a quella che da molti (sicuramente dal sottoscritto) e’ stata non solo  la miglior serie televisiva del 2010,  ma addirittura una della migliori trasposizioni del personaggio di Conan Doyle, insieme a quella dello Sherlock Holmes cinematografico per antonomasia, Basil Rathbone, interprete storico di ben 14 pellicole tra gli anni ’30 e gli anni ’40 accanto al Dr.Watson dell’altrettanto indimenticato Nigel Bruce.

Ma nella versione di  Moffat e Gatiss, modernizzata all’epoca degli sms, degli smartphone e dei blog, elementi di cui viene fatto sapiente uso nel linguaggio visivo per rendere la narrazione accattivante anche per il  pubblico  piu’ giovane,  quello che fa veramente la  differenza e’ il fattore umano, ovvero l’interpretazione degli attori principali, e in questo caso si puo’ senz’altro affermare che lo Sherlock di Benedict Cumberbatch (bellissimo, oltre che bravissimo, come direbbe mia moglie Ashura)  e il Dr. Watson  di Martin Freeman sono a dir poco perfetti.

Probabilmente gli stessi Moffat e Gatiss  (che nella serie e’ anche l’arguto interprete di Mycroft, fratello di Sherlock) non potevano neanche immaginare la straordinaria intesa e l’instantanea alchimia  che si e’ venuta a  creare tra Cumberbatch e Freeman,  la cui abilita’ maggiore sta nella capacita’ di trasmettere in maniera estremamente efficace l’umanita’ dei due personaggi, con tutte le loro virtu’ e le loro debolezze.

Se da un lato lo  Sherlock di Cumberbatch e’  tutto quello che ci si aspetta da lui , (e anche molto di piu’ … ) ovvero intelligente, ironico, arrogante, estremamente fascinoso  ( nonche’ bellissimo [nota di Ashura]) e come lui stesso ama definirsi, un “sociopatico altamente funzionale”, il Dr. Watson di Freeman e’ personaggio decisamente piu’ attivo di molti suoi predecessori, passando da semplice spalla di Sherlock a elemento integrante di quella che a tutti gli effetti e’ una coppia perfettamente affiatata per complementarieta’ di caratteri.

Da un lato infatti troviamo l’estro geniale e l’esuberanza quasi adolescenziale del personaggio di Cumberbatch, capace di esaltarsi  per la sfida intellettuale costituita dal battere  il proprio avversario al suo stesso gioco e, in realta’ soloapparentemente,  piu’ interessato a risolvere gli enigmi per giungere alla soluzione del mistero  che non a salvare le vite in gioco, come nella sfida mortale con la sua nemesi per eccellenza, ovvero Moriarty, in Il grande Gioco (in originale The Great Game), quello che e’ l’ultimo e migliore episodio dei tre che costituiscono la prima stagione.

Dall’altra invece c’e la concretezza e la positivita’ del personaggio di Freeman, capace di una sincera e disinteressata ammirazione verso Sherlock, privo com’e’ di quell’invidia intellettuale o di quel timore reverenziale: una qualita’  che gli consente  peraltro di esser in grado di criticare e “richiamare all’ordine” l’amico e compagno quando la sua esuberanza e il suo egocentrismo lo portano a dimenticare l’umanita’ e i sentimenti di coloro che lo circondano o che sono coinvolti nelle indagini.

Impossibile non citare, per il loro contribuito al successo della serie, personaggi secondari ben delineati e brillantemente interpretati come l’Ispettore Lestrade di Rupert Graves,  indimenticato interprete di Maurice,  visto di recente al cinema in V for Vendetta e Funeral Party e in televisione nella serie poliziesca  Scott & Bailey, o il gia’ citato Mycroft di Mark Gatiss, autore ed attore anche nell’ultima versione del Doctor Who, per finire con l’interpretazione,  istrionica, ironica e mefistofelica insieme,   del bravo Andrew Scott (visto di recente in The Hour) nei panni di Jim Moriarty,  vera controparte malvagia del protagonista, con il quale nel tesissimo finale della stagione da’ vita  ad uno dei duelli verbali piu’ memorabili della storia della televisione.